Biografia
Vi presentiamo una breve biografia di Rocco Famularo, scritta sulla base di alcuni documenti che ci ha gentilmente fornito il MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza) e di numerose testimonianze che abbiamo raccolto negli anni successivi alla morte dell'artista. Inoltre, molti degli aneddoti qui presentati sono stati forniti da Rocco stesso negli ultimi mesi della sua vita in occasione di alcune interviste, rilasciate al nipote, utili alla realizzazione di una grande retrospettiva a lui dedicata dall’Associazione giovanile, Nuovi Orizzonti per S.Stefano, che si era impegnata a organizzarla.
Rocco Famularo
Nato a Santo Stefano di Camastra (Messina) l’8 agosto del 1944, settimo figlio di Antonino Famularo e Francesca Gangitano. Il padre non aveva un lavoro fisso, la madre era una commerciante di generi alimentari e in seguito, piccola imprenditrice e proprietaria di un panificio. Il piccolo Rocco mostra i primi evidenti segni di una forte predisposizione al disegno all’età di quattro anni. Nello stesso periodo contrae la meningite ma si cura grazie agli antibiotici.
Sin dalle prime classi delle scuole elementari, è notato per le eccellenti e innate abilità tecniche dagli insegnanti che intravedono per lui un futuro in ambito artistico e per questo, dopo gli esami di quinta, lo indirizzano verso studi specifici alla locale, Scuola Regionale d’Arte (e poi, Istituto Regionale d’Arte per la Ceramica).
Negli anni trascorsi alla Scuola d’arte, Rocco concepisce e sviluppa il proprio stile pittorico ma soprattutto conosce e s’innamora della ceramica che diventerà il punto di riferimento di tutta la sua produzione artistica e la punta massima dei suoi successi e riconoscimenti. Stringe una forte amicizia con il Direttore, C. Michele Esposito, che nel giovane intravede un genio dalle illimitate possibilità espressive e per questo lo invoglia a realizzare centinaia di opere (alcune delle quali, oggi conservate al Museo didattico della Ceramica presso il medesimo istituto). Oltre il disegno e la pittura, Rocco ottenne importanti risultati anche nel linguaggio plastico portando a termine diverse sculture di mirabile bellezza (celebre è il busto che ritrae il prof. Liborio Gerbino). Vasi, piatti, bottiglie, pannelli, la sua creatività spazia nella misura e nella forma avvantaggiando la raffinatezza e ricercatezza stilistica con sfumature e risultati innovativi mostrandosi particolarmente attento agli effetti della cottura. Focalizza i suoi studi nella rappresentazione del corpo femminile, stilizzandolo. Propone anche celebri soggetti come, Le Tre Grazie, con un segno e tonalità completamente rivisitate. Nel 1964 partecipa al concorso per allievi di Scuole d’Arte, nazionali e straniere, organizzato dal MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza), ottenendo un terzo premio, retribuito con un compenso di lire 25.000 oltre che una medaglia di bronzo data alla sua scuola. L’anno successivo ovvero nel 1965, sempre nell’ambito di un concorso organizzato dal MIC, è decretato all’unanimità dei giudici il vincitore di una borsa di studi per l’avviamento al lavoro offerta dall’ENAPI (Ente nazionale artigianato e piccole industrie).
Durante questi anni s’innamora perdutamente di una sua compagna di scuola. Per ovvie ragioni non né sarà menzionato il nome anche perché la storia e abbastanza controversa in quanto, le testimonianze raccolte non concordano su diversi punti. Lo stesso artista, generalmente molto estroverso, si mostrava un po’ riservato riguardo a quest’aspetto della sua vita, anche se più volte, semplicemente nominandola, ammetteva che sono molti i riferimenti concernenti la ragazza in alcuni dettagli delle sue opere. L’unica certezza è rappresentata dalle conseguenze che ne derivarono per Rocco da questo sfortunato amore che non prese mai il volo o semplicemente s’interruppe troppo bruscamente. In concomitanza di questo evento, consegue il titolo di Maestro d’Arte, (allora valevole per la docenza) ma non ottiene il posto da insegnante che i dirigenti di allora gli avevano promesso come premio per i suoi riconoscimenti. Deluso, decide di tentare l’avventura e parte per raggiungere suo fratello Gaetano già emigrato negli Stati Uniti d’America. Sul suo periodo Statunitense ci sono molte ombre. Interrogato sull’argomento, raccontava principalmente di feste tra emigranti, di night, di grandi possibilità, di libertà ecc. descriveva gli USA come un moderno paese dei balocchi ma con la necessità di pagare un ticket per ogni cosa. E’ certo però che visse dei periodi di grande scombussolamento (per sua stessa ammissione) dovuti al cospicuo consumo di alcolici e, probabilmente, di una non meglio specificata sostanza stupefacente che lo condussero a sostenere una lite con il fratello e alcuni amici che lo ospitarono in seguito. Ritrovatosi solo, senza soldi, con la scarsissima conoscenza della lingua e senza documenti, si diede al vagabondaggio finché, nel 1969, una macchina della polizia lo ferma mentre a piedi fa l’autostop ai bordi dell’autostrada, è arrestato e quindi espulso dalla nazione. Trova riparo presso la sorella e il cognato che lo ospita qualche mese in Svizzera presso Baden, in prossimità di Zurigo.
Tornato in Sicilia, ottiene la possibilità di fare qualche supplenza e subito dopo gli è assegnata la cattedra che tanto agognava, ovviamente e per suo caparbio volere, nella stessa scuola dove aveva studiato. Per un periodo brevissimo, che non va oltre i primi anni ’70, ricopre questo incarico con il compito specifico di professore di decorazione e disegno dal vero. Intanto il rapporto con il Direttore Esposito subisce una crisi profonda. Rocco non accetta la proposta di trasferimento che gli è avanzata, tra i due scoppia una lite che segnerà uno strappo definitivo e non si ricucirà mai più.
Nella primavera del 1972, comincia a manifestare strani comportamenti. Le testimonianze lo descrivono come irrequieto, incapace di concentrarsi, alternando fasi di facile irascibilità a momenti di dissociazione totale dalla realtà. Spesso, approfittando del buio, peregrinava senza meta apparente per le stradine deserte del paese. Una notte, suo fratello Antonio, decise di andargli appresso. Lo seguì fino ad arrivare fuori dal paese, in una zona di campagna dirupata. Preoccupato e stranito, a quel punto, gli corse incontro chiedendogli: “Rocco, che ci sei venuto a fare qua”? – “Volevo raccogliere dei fiori”, rispose. All’inizio dell’estate la madre angosciata, decide, nel massimo riservo, di farlo ricoverare in una clinica psichiatrica privata a Palermo. Qui gli è diagnosticata la schizofrenia. Fu sottoposto a una cura a base di scariche elettriche comunemente conosciuta col nome di elettroshock. Questi trattamenti, ripetuti per un periodo di due mesi, crearono danni permanenti nella psiche e nel corpo dell’artista che ne rimase per sempre e irrimediabilmente compromesso. Durante il periodo di degenza presso la clinica, muore Enzo, uno dei suoi fratelli ma la cosa gli è nascosta, lo scoprirà nel peggiore dei modi quando tornerà a casa.
Le cure proposte dalla psichiatria di quegli anni, sono al limite della barbarie. Rocco ne subisce in pieno la brutalità provando, suo malgrado, l’ambiente disumano del “manicomio”, con camicia di forza e tranquillanti stordenti. Piange quando la madre va a visitarlo e la implora di portarlo via. Smette di curarsi nell’aspetto e si fa crescere una lunga barba che diventerà il simbolo della sua disavventura in un famoso soggetto, che negli anni ripeterà centinaia di volte, con risultati pittorici rilevanti: il Vecchione.
Ritorna a casa ad agosto. All’inizio del nuovo anno scolastico, com’era prevedibile, riscontra dei problemi che gli impediranno di proseguire nella sua attività d’insegnante. Rifiutando l’idea di presentare richiesta e farsi sollevare dall’incarico per problemi di salute ovvero, non accettando di passare per malato, preferisce licenziarsi. Questa scelta gli costerà un trattamento pensionistico adeguato consegnandolo a un’esistenza alle dipendenze della propria famiglia, ciò gli causerà notevoli e umilianti frustrazioni. Dipinge diverse opere e tutte rispecchiano la sua nuova condizione. Cambia lo stile, seppur non nettamente. Il segno si fa più netto e le sfumature meno delicate. Questa sarà una tendenza progressiva, a cicli decennali. Proprio del periodo è il celebre quadro che raffigura una testa trafitta da innumerevoli chiodi e tutt’intorno, un po’ sfumate, sullo sfondo scuro, un moto di teste dai volti in afflizione disperata. L’abbandono della scuola segna anche l’inesorabile fine del suo personale idillio fino allora intrattenuto con la ceramica. Col passare degli anni si dedicherà sempre più e definitivamente alla tela o ad altri supporti.
Si dedica esclusivamente alla pittura. Dipinge per il gusto di dipingere, più quadri contemporaneamente, la sua attività non conosce sosta. Sul finire degli anni settanta, crea, I Tre Occhi, “il quadro degli amanti”, come amava definirlo. Soggetto peculiare ed estremamente affascinante, l’amore, per l’artista, qui è inteso come una fusione delle anime. Per i suoi lavori non richiede compensi, li regala quasi sempre.
Gli anni ’80 segnano il decennio più prolifico. Firma migliaia di dipinti. Qualsiasi superficie per lui è utile: tela, carta, cartone, tavola, stoffa, muri. Sembra avere risorse inesauribili ma, un infarto segna l’inizio di una degenerazione fisica che durerà vent’anni e lo costringerà a sofferenze insopportabili che lo limiteranno molto nell’attività artistica. La sua salute cagionevole gli causa, in pochi anni, più collassi che lo deturpano con un precoce invecchiamento vissuto fra continue crisi respiratorie e conseguenti ricoveri ospedalieri. Rimane comunque un uomo allegro, in grado di ridere anche delle sue disgrazie.
Muore a Palermo, all’età di cinquantanove anni, il 25 maggio 2004.
L’Archivio della Ceramica Italiana del ‘900 l’ha inserito come Uno tra i migliori Ceramisti, pittori e decoratori del ‘900.
Vi presentiamo una breve biografia di Rocco Famularo, scritta sulla base di alcuni documenti che ci ha gentilmente fornito il MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza) e di numerose testimonianze che abbiamo raccolto negli anni successivi alla morte dell'artista. Inoltre, molti degli aneddoti qui presentati sono stati forniti da Rocco stesso negli ultimi mesi della sua vita in occasione di alcune interviste, rilasciate al nipote, utili alla realizzazione di una grande retrospettiva a lui dedicata dall’Associazione giovanile, Nuovi Orizzonti per S.Stefano, che si era impegnata a organizzarla.
Rocco Famularo
Nato a Santo Stefano di Camastra (Messina) l’8 agosto del 1944, settimo figlio di Antonino Famularo e Francesca Gangitano. Il padre non aveva un lavoro fisso, la madre era una commerciante di generi alimentari e in seguito, piccola imprenditrice e proprietaria di un panificio. Il piccolo Rocco mostra i primi evidenti segni di una forte predisposizione al disegno all’età di quattro anni. Nello stesso periodo contrae la meningite ma si cura grazie agli antibiotici.
Sin dalle prime classi delle scuole elementari, è notato per le eccellenti e innate abilità tecniche dagli insegnanti che intravedono per lui un futuro in ambito artistico e per questo, dopo gli esami di quinta, lo indirizzano verso studi specifici alla locale, Scuola Regionale d’Arte (e poi, Istituto Regionale d’Arte per la Ceramica).
Negli anni trascorsi alla Scuola d’arte, Rocco concepisce e sviluppa il proprio stile pittorico ma soprattutto conosce e s’innamora della ceramica che diventerà il punto di riferimento di tutta la sua produzione artistica e la punta massima dei suoi successi e riconoscimenti. Stringe una forte amicizia con il Direttore, C. Michele Esposito, che nel giovane intravede un genio dalle illimitate possibilità espressive e per questo lo invoglia a realizzare centinaia di opere (alcune delle quali, oggi conservate al Museo didattico della Ceramica presso il medesimo istituto). Oltre il disegno e la pittura, Rocco ottenne importanti risultati anche nel linguaggio plastico portando a termine diverse sculture di mirabile bellezza (celebre è il busto che ritrae il prof. Liborio Gerbino). Vasi, piatti, bottiglie, pannelli, la sua creatività spazia nella misura e nella forma avvantaggiando la raffinatezza e ricercatezza stilistica con sfumature e risultati innovativi mostrandosi particolarmente attento agli effetti della cottura. Focalizza i suoi studi nella rappresentazione del corpo femminile, stilizzandolo. Propone anche celebri soggetti come, Le Tre Grazie, con un segno e tonalità completamente rivisitate. Nel 1964 partecipa al concorso per allievi di Scuole d’Arte, nazionali e straniere, organizzato dal MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza), ottenendo un terzo premio, retribuito con un compenso di lire 25.000 oltre che una medaglia di bronzo data alla sua scuola. L’anno successivo ovvero nel 1965, sempre nell’ambito di un concorso organizzato dal MIC, è decretato all’unanimità dei giudici il vincitore di una borsa di studi per l’avviamento al lavoro offerta dall’ENAPI (Ente nazionale artigianato e piccole industrie).
Durante questi anni s’innamora perdutamente di una sua compagna di scuola. Per ovvie ragioni non né sarà menzionato il nome anche perché la storia e abbastanza controversa in quanto, le testimonianze raccolte non concordano su diversi punti. Lo stesso artista, generalmente molto estroverso, si mostrava un po’ riservato riguardo a quest’aspetto della sua vita, anche se più volte, semplicemente nominandola, ammetteva che sono molti i riferimenti concernenti la ragazza in alcuni dettagli delle sue opere. L’unica certezza è rappresentata dalle conseguenze che ne derivarono per Rocco da questo sfortunato amore che non prese mai il volo o semplicemente s’interruppe troppo bruscamente. In concomitanza di questo evento, consegue il titolo di Maestro d’Arte, (allora valevole per la docenza) ma non ottiene il posto da insegnante che i dirigenti di allora gli avevano promesso come premio per i suoi riconoscimenti. Deluso, decide di tentare l’avventura e parte per raggiungere suo fratello Gaetano già emigrato negli Stati Uniti d’America. Sul suo periodo Statunitense ci sono molte ombre. Interrogato sull’argomento, raccontava principalmente di feste tra emigranti, di night, di grandi possibilità, di libertà ecc. descriveva gli USA come un moderno paese dei balocchi ma con la necessità di pagare un ticket per ogni cosa. E’ certo però che visse dei periodi di grande scombussolamento (per sua stessa ammissione) dovuti al cospicuo consumo di alcolici e, probabilmente, di una non meglio specificata sostanza stupefacente che lo condussero a sostenere una lite con il fratello e alcuni amici che lo ospitarono in seguito. Ritrovatosi solo, senza soldi, con la scarsissima conoscenza della lingua e senza documenti, si diede al vagabondaggio finché, nel 1969, una macchina della polizia lo ferma mentre a piedi fa l’autostop ai bordi dell’autostrada, è arrestato e quindi espulso dalla nazione. Trova riparo presso la sorella e il cognato che lo ospita qualche mese in Svizzera presso Baden, in prossimità di Zurigo.
Tornato in Sicilia, ottiene la possibilità di fare qualche supplenza e subito dopo gli è assegnata la cattedra che tanto agognava, ovviamente e per suo caparbio volere, nella stessa scuola dove aveva studiato. Per un periodo brevissimo, che non va oltre i primi anni ’70, ricopre questo incarico con il compito specifico di professore di decorazione e disegno dal vero. Intanto il rapporto con il Direttore Esposito subisce una crisi profonda. Rocco non accetta la proposta di trasferimento che gli è avanzata, tra i due scoppia una lite che segnerà uno strappo definitivo e non si ricucirà mai più.
Nella primavera del 1972, comincia a manifestare strani comportamenti. Le testimonianze lo descrivono come irrequieto, incapace di concentrarsi, alternando fasi di facile irascibilità a momenti di dissociazione totale dalla realtà. Spesso, approfittando del buio, peregrinava senza meta apparente per le stradine deserte del paese. Una notte, suo fratello Antonio, decise di andargli appresso. Lo seguì fino ad arrivare fuori dal paese, in una zona di campagna dirupata. Preoccupato e stranito, a quel punto, gli corse incontro chiedendogli: “Rocco, che ci sei venuto a fare qua”? – “Volevo raccogliere dei fiori”, rispose. All’inizio dell’estate la madre angosciata, decide, nel massimo riservo, di farlo ricoverare in una clinica psichiatrica privata a Palermo. Qui gli è diagnosticata la schizofrenia. Fu sottoposto a una cura a base di scariche elettriche comunemente conosciuta col nome di elettroshock. Questi trattamenti, ripetuti per un periodo di due mesi, crearono danni permanenti nella psiche e nel corpo dell’artista che ne rimase per sempre e irrimediabilmente compromesso. Durante il periodo di degenza presso la clinica, muore Enzo, uno dei suoi fratelli ma la cosa gli è nascosta, lo scoprirà nel peggiore dei modi quando tornerà a casa.
Le cure proposte dalla psichiatria di quegli anni, sono al limite della barbarie. Rocco ne subisce in pieno la brutalità provando, suo malgrado, l’ambiente disumano del “manicomio”, con camicia di forza e tranquillanti stordenti. Piange quando la madre va a visitarlo e la implora di portarlo via. Smette di curarsi nell’aspetto e si fa crescere una lunga barba che diventerà il simbolo della sua disavventura in un famoso soggetto, che negli anni ripeterà centinaia di volte, con risultati pittorici rilevanti: il Vecchione.
Ritorna a casa ad agosto. All’inizio del nuovo anno scolastico, com’era prevedibile, riscontra dei problemi che gli impediranno di proseguire nella sua attività d’insegnante. Rifiutando l’idea di presentare richiesta e farsi sollevare dall’incarico per problemi di salute ovvero, non accettando di passare per malato, preferisce licenziarsi. Questa scelta gli costerà un trattamento pensionistico adeguato consegnandolo a un’esistenza alle dipendenze della propria famiglia, ciò gli causerà notevoli e umilianti frustrazioni. Dipinge diverse opere e tutte rispecchiano la sua nuova condizione. Cambia lo stile, seppur non nettamente. Il segno si fa più netto e le sfumature meno delicate. Questa sarà una tendenza progressiva, a cicli decennali. Proprio del periodo è il celebre quadro che raffigura una testa trafitta da innumerevoli chiodi e tutt’intorno, un po’ sfumate, sullo sfondo scuro, un moto di teste dai volti in afflizione disperata. L’abbandono della scuola segna anche l’inesorabile fine del suo personale idillio fino allora intrattenuto con la ceramica. Col passare degli anni si dedicherà sempre più e definitivamente alla tela o ad altri supporti.
Si dedica esclusivamente alla pittura. Dipinge per il gusto di dipingere, più quadri contemporaneamente, la sua attività non conosce sosta. Sul finire degli anni settanta, crea, I Tre Occhi, “il quadro degli amanti”, come amava definirlo. Soggetto peculiare ed estremamente affascinante, l’amore, per l’artista, qui è inteso come una fusione delle anime. Per i suoi lavori non richiede compensi, li regala quasi sempre.
Gli anni ’80 segnano il decennio più prolifico. Firma migliaia di dipinti. Qualsiasi superficie per lui è utile: tela, carta, cartone, tavola, stoffa, muri. Sembra avere risorse inesauribili ma, un infarto segna l’inizio di una degenerazione fisica che durerà vent’anni e lo costringerà a sofferenze insopportabili che lo limiteranno molto nell’attività artistica. La sua salute cagionevole gli causa, in pochi anni, più collassi che lo deturpano con un precoce invecchiamento vissuto fra continue crisi respiratorie e conseguenti ricoveri ospedalieri. Rimane comunque un uomo allegro, in grado di ridere anche delle sue disgrazie.
Muore a Palermo, all’età di cinquantanove anni, il 25 maggio 2004.
L’Archivio della Ceramica Italiana del ‘900 l’ha inserito come Uno tra i migliori Ceramisti, pittori e decoratori del ‘900.
by RoccoFamularo-Staff